Galway – I giornalisti più evoluti si sono dati appuntamento in Irlanda per discutere del futuro della professione e approfondire le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, soprattutto quelle utilizzabili in mobilità. Tra i circa seicento colleghi che hanno affollato le sale del Radisson  hotel per la tre giorni di conferenze organizzata da RTE, la televisione pubblica irlandese, gli italiani si  contano sulle dita di una mano e avanza  pure il mignolo. Nessun rappresentante della  Rai, di Mediaset e La7, soltanto due freelance (io e Francesco Facchini, capostipite del movimento MoJo in Italia e due rappresentanti di un’agenzia stampa). Gli spagnoli, per dire, sono una ventina, compresi esponenti del mondo universitario e della televisione pubblica.

Ci sono tedeschi, svedesi, inglesi, colombiani, arabi, indiani e australiani, tutti con esperienze significative da raccontare e condividere. Manchiamo soltanto noi. Un segnale che può essere interpretato in vari modi. Probabilmente anche di rassegnazione, incapacità di reagire, sicuramente di scarsa abitudine alla condivisione e di cecità. Come dice un simpatico collega spagnolo, siamo tutti preoccupati sulla nostra barchetta analogica, aspettando lo tsunami che ci travolgerà e non ci accorgiamo  che potremmo tranquillamente surfare sull’onda grazie alle nuove tecnologie.

Probabilmente ha ragione Michael Rosenblum, padre del mobile journalism statunitense, che ha aperto i lavori rispondendo seccamente alla prima domanda della giornata: “il giornalismo è morto? Sì, si è suicidato!”

mojo conference

Nella seconda parte della giornata l’attenzione si  è concentrata sui video immersivi, a 360 gradi, che iniziano a essere alla portata di molti. Il problema, come sempre, è capire come monetizzare il lavoro. La chiave di volta, anche secondo gli esperti sul palco, è rappresentata dai format, dall’idea alla base di progetti, per certi versi sempre più complessi, ma con opportunità impensabili fino a pochi anni fa, perfino per il singolo freelance. L’individualismo italiota potrebbe uscirne addirittura rafforzato.

Questo il link per la seconda parte dell’intervista