Nuove regole per i siti partner di YouTube

Cambiano le regole per monetizzare grazie ai video di YouTube. Google ha rivisto le condizioni per poter diventare un sito Partner ed entrare quindi nel programma dedicato. Fino a oggi i canali dovevano raggiungere almeno 10mila visualizzazioni totali.

Dal 20 febbraio i nuovi canali dovranno avere anche mille iscritti e 4mila ore di watchtime negli ultimi 12 mesi per poter ospitare annunci. Diventano più stringenti anche i controlli sui segnali come gli avvertimenti della community, tentativi di spam e altre indicazioni di abusi. Se un canale viola le norme della community ripetutamente o in modo eclatante, sarà rimosso al terzo avvertimento di violazione delle norme della community.

Spirito libero – Fabio Zaffagnini, dal CNR a Rockin’1000

Per il terzo appuntamento con Spirito libero, abbiamo incontrato a Milano Fabio Zaffagnini, il ragazzo di Cesena che è riuscito a coronare un sogno e oggi è il general manager di Rockin’1000, la band più numerosa del Mondo.

Nel 2014 Fabio, geologo al CNR e appassionato di musica, si è messo in testa di riportare a Cesena i Foo Fighters, la sua band preferita, ormai abituata a ben altre località e a palazzetti dalla capienza tre volte superiore rispetto ai quattromila posti del Carisport della città romagnola. Per attirare l’attenzione di Dave Grohl e soci, Fabio ha pensato di far suonare uno dei brani più famosi della band, Learn to fly, a mille musicisti contemporaneamente. Un’idea folle che, però, è riuscito a realizzare e che ha funzionato. Il video dell’esibizione dei 1000, diretti dal maestro Marco Sabiu ha fatto il giro del Mondo ed è diventato virale su YouTube (ad oggi vanta 38 milioni di visualizzazioni). Dave Grohl ne è rimasto talmente colpito che il 3 novembre del 2015 è tornato a Cesena con tutta la band per un concerto evento che resterà nella storia della città e del rock.

Per riuscire a realizzare il suo sogno, Fabio Zaffagnini si è affidato al Crowdfunding coinvolgendo un gruppo di professionisti della comunicazione, centrando velocemente l’obiettivo, dimostrando che la raccolta di finanziamenti dal basso può funzionare anche in Italia.

Grazie a questa iniziativa, nata quasi per scherzo, la sua vita è totalmente cambiata. Non fa più il geologo, è diventato il testimonial degli spot televisivi della birra NastroAzzurro e può contare sul supporto di aziende importanti come Samsung.

Il 28 e 29 luglio a Courmayeur con Marco Sabiu e i suoi mille musicisti occuperanno la Val Veny, ai piedi del Monte Bianco, dove daranno vita a una nuova performance che culminerà in una Medley experience con una ventina di brani che hanno segnato la storia del rock, dai Beatles ai Queen, dai Beach Boys ai Pink Floyd, dai Velvet Underground ai Red Hot Chili Peppers.

P.S. La formula di Spirito libero è ancora in embrione e qualsiasi critica, commento o suggerimento saranno più che gradite. Anche questa volta l’audio non è il massimo, ma ho ordinato un nuovo microfono.

Qui potete trovare la prima puntata

Qui, invece, la seconda

Il video di Learn to Fly suonata dai 1000 di Cesena, infine, lo trovate qui

Spirito libero – Addio al guru italiano dell’energia

Notizia triste per il secondo appuntamento con Spirito libero, il 10 luglio è prematuramente scomparso Leonardo Maugeri, considerato il ‘guru’ dell’energia non soltanto in Italia.

L’ex manager dell’ENI, che ha iniziato la carriera come giornalista, era un economista e divulgatore di fama mondiale. Nel 2007 è stato l’unico a prevedere il crollo del prezzo del petrolio, nonostante tutti gli indicatori facessero pensare il contrario. Sotto la sua guida l’Ente Nazionale Idrocarburi raggiunse il record di un milione e settecentomila barili di greggio prodotti giornalmente. Un quantitativo soltanto recentemente superato. Entrato all’ENI nel 1994, sei anni più tardi divenne responsabile delle strategie e delle relazioni internazionali del “cane a sei zampe”.

Con l’avvento di Scaroni, nel 2005, fu messo in ombra e nel 2010 abbandonò il gruppo per dedicarsi all’insegnamento negli Stati Uniti. Aveva incarichi prestigiosi al Mit e al Belfer Center di Harvard ed è stato uno dei consulenti di Barack Obama.

con_tutta_l'energia_possibileNel 2011 ha pubblicato il libro ‘Con tutta l’energia possibile‘. Con un linguaggio semplice e alla portata di tutti metteva a confronto le diverse fonti energetiche, da quelle fossili e sporche come petrolio e carbone, al gas; dal nucleare alle rinnovabili, inquadrando la transizione energetica in corso da un punto di vista prevalentemente economico. Maugeri era convinto che alla fine la sfida sarebbe stata vinta dal fotovoltaico.

Nel 2016, in occasione del Festival dell’energia di Milano, aveva dichiarato che la sfida è ancora aperta, ma c’è già uno sconfitto certo, il nucleare. A distanza di cinque anni dalla pubblicazione del libro, era ancora più sicuro della necessità di puntare sull’energia solare che, secondo lui, raggiungerà la piena maturità non appena una quota significativa dell’energia utilizzata per la mobilità si sarà spostata dal petrolio all’elettrico. Uno scenario non lontano. “Quando tra il 2020 e il 2025 sul mercato dell’auto arriveranno i primi modelli di utilitarie economiche ed elettriche prodotte in Cina o in India, cambierà tutto! Ancora prima, le ricerche su nuovi materiali applicati al fotovoltaico, a cominciare dal grafene, garantiranno rendimenti ancora più alti ai moduli e sarà possibile costruire centrali di grandi potenze e dimensioni a costi ultracompetitivi rispetto a qualsiasi altra tecnologia”.

Molte volte si è parlato di Leonardo Maugeri per incarichi nel Ministero dello sviluppo economico e di un suo ritorno ai vertici dell’ENI, ma, come spesso accade, nessuno è profeta in patria. Non tutti i quotidiani hanno riportato la notizia della sua scomparsa e quasi tutti hanno evidenziato i grandi risultati ottenuti tra il 2001 e il 2005 all’ENI, evitando di sottolineare la sua visione strategica per il futuro. Unica eccezione, Il Sole24ore.

P.S. La formula di Spirito libero è ancora in embrione e qualsiasi critica, commento o suggerimento saranno più che gradite. Il libro del professor Leonardo Maugeri può essere ordinato su Amazon.

Qui potete trovare la prima puntata

 

 

Spirito libero – prima puntata – Il papa sindacalista

Ci ho pensato molto prima di decidere quale dovesse essere l’argomento della prima puntata di Spirito libero, uno spazio di approfondimento per la notizia più significativa, secondo me, della settimana, poi ho scelto senza esitazioni il discorso di papa Bergoglio ai sindacalisti della Cisl. Un po’ perché non ha scadenza, ma soprattutto perché credo che l’attuale pontefice sia l’unico Statista in attività in questo momento sul pianeta.

Papa-Francesco

Papa Francesco ha pronunciato un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del sindacato il 28 giugno, in occasione della visita dei delegati della Cisl riuniti in congresso. Un discorso duro e ancora una volta molto chiaro a cui poche testate (Avvenire e Il Foglio meglio delle altre) hanno dato l’evidenza che avrebbe meritato.

In sostanza il pontefice accusa i sindacalisti di continuare a tutelare chi un lavoro ce l’ha e di non essersi accorto che le emergenze e le maggiori ingiustizie sono altrove. Li accusa anche di aver pensato più a se stessi che alla propria missione citando, non a caso, le “pensioni d’oro, altrettanto scandalose quanto quelle troppo povere“.

La questione del lavoro, della dignità dei lavoratori, della giustizia sociale continua a essere centrale per  il pontefice che, però, ricorda come l’essere umano abbia anche altre priorità e rilancia la cultura dell’ozio. un passaggio che mi ha ricordato un intervento dell’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica di fronte ai delegati della Nazioni Unite (qui trovate un mio servizio sull’argomento).

Per commentare una presa di posizione così netta ho voluto interpellare Mario Agostinelli, un ex militante del Movimento studentesco e del PCI, per molti anni delegato della CGIL in Lombardia ed eletto qualche anno fa nel consiglio regionale lombardo come indipendente  nelle liste di Rifondazione comunista. Insomma, quello che una volta avremmo definito un compagno.

P.S. Il collegamento con Mario è avvenuto a tarda ora via Skype e l’audio non è sempre perfetto, ma credo valga la pena ascoltarlo. La formula di Spirito libero è ancora in embrione e qualsiasi critica, commento o suggerimento saranno più che gradite.

Non uccidere, esperimento riuscito?

Miriam Leone in Non uccidere

Stasera Raidue trasmetterà in prima serata due nuovi episodi della seconda serie di Non uccidere, la fiction ideata da Claudio Corbucci con Miriam Leone nei panni dell’ispettore della Mobile di Torino Valeria Ferro.

I primi due episodi, andati in onda lunedì 12 giugno non hanno raggiunto i risultati sperati. Questo il commento relativo agli ascolti pubblicato da primaonline:

“Non Uccidere 2’, la serie che è tornata su Rai2 dopo una prima stagione deludente su Rai3. Il prodotto Freemantle non ha fatto un risultato all’altezza delle attese: 1,255 milioni di spettatori ed il 5,73%. La storia con Miriam Leone protagonista è in target e in tono con il resto delle serie semi-noir della rete guidata da Ilaria Dallatana, ma ‘Rocco Schiavone’ e ‘La Porta Rossa‘ sono apparsi precedenti irraggiungibili”

Caustico anche il giudizio di Aldo Grasso sul Corriere della sera:

“…è più interessante come processo (riferendosi al fatto che, prima volta nella storia della tv italiana,  tutte le puntate della nuova serie siano state anticipate on demand da RaiPlay) che come prodotto… La Leone dovrebbe però rilasciare meno interviste e lavorare un po’ di più sui suoi personaggi”

Ho dichiarato che non farò il critico e non intendo infrangere la promessa, ma un paio di considerazioni credo siano opportune. Ritengo che questa serie noir sia una delle migliori fiction degli ultimi anni. Mi piacciono le atmosfere, le luci, perfino i dialoghi un po’ biascicati. Mi piace Torino fotografata così e mi piace tantissimo Miriam Leone.

Detto questo, l’aspetto più interessante per me è rappresentato dall’esperimento di RaiPlay. I dati ufficiali parlano di un milione di visualizzazioni in una settimana. Mi piacerebbe approfondire. Quanti hanno visto per intero tutti i nuovi episodi? Esiste un profilo degli utenti? Quanti anni hanno? Dove vivono? Hanno usato il pc, il telefonino o il tablet? Sono più maschi o femmine? Avevano già seguito su Raitre la prima serie?

Magari nei prossimi giorni cercherò qualcuno in Rai disposto a fornire queste informazioni, ammesso che le abbiano. Intanto, questa sera andrò a cena con mia figlia e nei prossimi giorni guarderò on demand la puntata che non posso seguire in tv.

Andrea Fontana

Rivoluzione Magnum

Voglio raccontarvi una storia, vera! Quella dell’agenzia Magnum e della rivoluzione che ha rappresentato a metà del secolo scorso per tutti i media. Sul fronte della tecnologia ci sono parecchie analogie con quello che sta accadendo oggi, ieri erano le prime macchine fotografiche reflex, attualmente sono le performance sempre migliori dei nostri device mobili e dei video 4k.

Ma procediamo con ordine. Un’inchiesta giornalistica deve portare alla luce i fatti, mostrarli anche nella loro drammaticità e il fotogiornalismo in questo è di grande aiuto. Le immagini della Seconda guerra mondiale finirono per essere testimoni d’accusa a Norimberga, prove schiaccianti e determinanti, incaricate di tracciare il discrimine fra buoni e cattivi, fra chi combatteva dalla parte giusta e chi no. Fu l’ultima volta. Non fu l’ultima guerra, come aveva sperato George Rodger, che dopo aver fotografato pile di cadaveri giurò a se stesso: mai più guerre, e mantenne. Non fu l’ultima neppure per Capa, che sperava di diventare “il più grande fotoreporter di guerra disoccupato” e invece tornò sui campi di battaglia in guerre che capiva sempre meno, fino a saltare su una mina in quella che capiva meno di tutte, in Indocina, alba dell’assurdo Vietnam. Il fotogiornalismo, soprattutto quello di guerra, non è un genere, non è una tecnica, non è neppure un vero e proprio mestiere. È piuttosto una condizione esistenziale. I fotogiornalisti che immortalano i conflitti oggi continuano a correre nel fuoco per strappare quell’immagine che nessuno possiede. Sempre più spesso giovani e giovanissimi freelance. Molti ci lasciano la pelle. Perché tutto è cambiato e tutto è sempre uguale. Compresa l’ipocrisia della società civile che dopo aver ammirato e spesso premiato quell’attimo irripetibile li accuserà di spettacolarizzazione.

La Magnum Photos è una delle più importanti agenzie fotografiche del mondo. Fondata nel 1947, tra gli altri, da Robert Capa e Henri Cartier-Bresson. La tradizione di Magnum prevede che le immagini scattate rimangano di proprietà del fotografo e non delle riviste dove esse vengono pubblicate, permettendo all’autore di scegliere soggetti, temi e orientare la produzione verso uno stile più aderente a quello del fotografo e libero da vincoli. L’agenzia nasce dalla combinazione di piccole macchine fotografiche e di menti fervide che avevano acquistato grande sensibilità negli anni della Seconda guerra mondiale, anni di inequivocabili eccessi emotivi; subito si impone per la capacità fresca e nuova di essere nel mondo e sulla notizia. I suoi rappresentanti crearono una struttura in cui non le riviste, ma i fotografi, fossero in grado di gestire la produzione e decidere dove, come e per chi lavorare. La libertà d’azione significava anche poter concedersi reportage di ampio respiro, più personali, in cui l’autore potesse raccontare meglio, di più e in profondità. Poiché questi reportage non trovano spesso spazio sufficiente sulle riviste, per molti autori la dimensione per esprimersi diventa quella più pensata e autonoma del libro o quella più libera e creativa della mostra. L’agenzia Magnum ha prodotto alcuni tra i più importanti e spesso drammatici reportage degli ultimi anni, documentando guerre (il Vietnam), catastrofi etniche (la carestia in India) o eventi sociali (il movimento americano per i diritti civili), ma anche sottolineando, con personali e originali interpretazioni, quegli aspetti della società non evidenziati dal giornalismo tradizionale, raccontando il mondo degli anziani, la vita dei minatori in Bolivia o proponendo curiosi ritratti canini.

Marilyn copertina LifeLife è stata una rivista statunitense. Fu pubblicata tra il 1883 ed il 1936 come rivista umoristica. Nel 1936 il fondatore della rivista TIME, Henry Luce la trasformò in un magazine imperniato principalmente sul fotogiornalismo. Life venne pubblicato come settimanale fino al 1972, come “speciale” senza una cadenza fissa sino al 1978, come mensile dal 1978 al 2000 e come supplemento settimanale dal 2004 al 2007. Tra i servizi passati alla storia si ricorda quello che durante la II guerra mondiale assicurò la copertura dello sbarco in Normandia con la pubblicazione delle storiche foto di Capa con i momenti cruciali dell’azione.

Henry Cartier Bresson, fondatore della Magnum

Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004) è stato un fotografo francese, È considerato un pioniere del foto-giornalismo, tanto da meritare l’appellativo di “occhio del secolo”.

 

Robert Capa tra i fondatori della MagnumRobert Capa, pseudonimo di Endre Ernő Friedmann (Budapest, 22 ottobre 1913 – Provincia di Thai Binh, 25 maggio 1954), è stato un fotografo ungherese. Capa documentò cinque diversi conflitti bellici. Nel corso della seconda guerra mondiale fu a Londra, nel Nordafrica e in Italia. Sue le foto dello sbarco in Normandia e della liberazione di Parigi.

Michael Christopher Brown, è l’ultima new entry della prestigiosa agenzia Magnum. Dal 2017, infatti, è diventato socio effettivo, dopo un percorso di ammissione durato quasi 4 anni. La caratteristica del fotografo statunitense? Da qualche anno utilizza esclusivamente l’iPhone per i suoi reportage.

Perché vi ho raccontato questa storia? Rileggetevi questo e fate 2+2

Il futuro del giornalismo

Si è conclusa MoJoCon, la tre giorni irlandese dedicata al mobile journalism, dibattiti e workshop sul futuro del giornalismo mobile.  Ecco il mio resoconto per ItaliaNotizie24.

Confronto sul futuro del giornalismo a MoJoCon
Un momento dell’intervista per RTE a Michael Rosenblum e Samantha Barry

Circa seicento tra giornalisti e operatori dei media internazionali si sono dati appuntamento al MoJoCon, a Galway, in Irlanda, per discutere del futuro del giornalismo e approfondire le opportunità offerte dalle nuove tecnologie.

Gli italiani si potevano contare sulle dita di una mano e avanza pure il mignolo. Nessun rappresentante della Rai, di Mediaset e La7, soltanto due freelance (l’autore di questo servizio, Francesco Facchini, capostipite del movimento MoJo in Italia e due rappresentanti di un’agenzia stampa). Gli spagnoli, tanto per citare una comunità a caso, erano una ventina, tra esponenti del mondo universitario e della televisione pubblica.

Il futuro della professione sarà sempre più dipendente dalla capacità di creare contenuti interessanti e coinvolgenti utilizzando le potenzialità offerte dai telefoni cellulari di nuova generazione.

Una questione di costi, velocità e …indipendenza. Sì, perché il futuro della professione molto probabilmente sarà sempre più svincolato dagli editori. Questo, almeno, è il pensiero di Michael Rosenblum, capostipite del mobile journalism americano, protagonista di un acceso dibattito con Samantha Barry della CNN.

Alcuni esempi molto interessanti di cosa sia possibile realizzare con un semplice cellulare sono stati presentati da Mike Castellucci, docente di giornalismo e broadcast all’Università del Michigan. Il professore italo-americano ha mostrato alcuni spezzoni straordinari di reportage autoprodotti, confutando la teoria che vorrebbe le tecniche MoJo utili soltanto per la confezione di news e servizi brevi. Castellucci non è stato l’unico a mostrare le grandi potenzialità di questa nuova filosofia produttiva. RTE, la televisione pubblica irlandese, per esempio ha realizzato già nel 2015 una serie di avvincenti documentari di un’ora ciascuno che ha riscosso un buon successo di pubblico.

Il futuro del giornalismo non si presenta certamente roseo, ma la tecnologia questa volta può essere una grande alleata dei giornalisti e lo sarà ancora di più quando nel 2020 le connessioni in 5G saranno disponibili in quasi tutta Europa. Significa che i nostri file viaggeranno a 10 Gbit/s, oltre 200 volte più velocemente rispetto alla miglior connessione mobile oggi disponibile.

Tre giorni in pillole

Altri servizi li trovate qui:
Da Snapchat a The Collectors, passando dalla lezione di Castellucci

 

I giornalisti evoluti si ritrovano a Galway

Da Snapchat a The Collectors, passando dalla lezione di Castellucci

michael castellucci
Il professore Michael Castellucci dell’Università del Michigan

Galway – Era inevitabile, dopo tre giorni di convivenza, che litigassi con Francesco Facchini, il mio compagno di viaggio in questa escursione irlandese ai confini della professione giornalistica.

Il tema del contendere è stata una stupidissima applicazione che va per la maggiore tra i teenager e i bambini meno dotati di fantasia, Snapchat. Per chi non lo sapesse, per un dinosauro come me direbbe il professor Facchini, si tratta di una chat che cancella le conversazioni un’ora dopo la loro pubblicazione, ma consente di editare in modo semplicissimo e veloce video con simpatici effetti d’animazione. Soltanto in verticale.

Per me, che sopporto a fatica Facebook perché per ritrovare qualcosa che ti ha interessato c’è da diventar matti e frequento il meno possibile Twitter perché 140 caratteri non sono sintesi, soltanto banalità inutili (non a caso è lo strumento preferito dai politici), una cosa incomprensibile e priva di fascino.

Uno strumento utilissimo per il cazzeggio tra ragazzini, del quale sono un grande difensore, ma nulla più. Niente che abbia a che fare con il giornalismo. Evidentemente deve avere ragione Francesco a definirmi preistorico perché a Snapchat gli organizzatori di MoJoCon hanno dedicato un intero panel di un’ora e mezza. Insomma, abbiamo litigato, bonariamente, per colpa di una chat che non abbiamo mai frequentato.

La discussione, per certi versi divertenti, la potete trovare sulla fanpage Facebook di Francesco. Qui, invece, in meno di tre minuti il racconto della nostra seconda mattinata al Radisson hotel. Per fortuna oltre che di Snapchat si è parlato anche di racconti in forma lunga e di documentari, ovviamente realizzati con metodi smart, nel doppio significato di intelligenti e veloci. Il denominatore comune, ovviamente, lo smartphone.

Interessante il racconto delle ideatrici del primo format mojo di un’ora mandato il onda da RTE nel 2015, The Collectors (I collezionisti), ma  addirittura esaltante l’intervento del professore italoamericano Michael Castellucci. Michael insegna nella facoltà di comunicazione, arte e scienze dell’Università del Michigan e vince  premi a ripetizione con i suoi reportage total mojo. Consiglio a tutti una visita al suo sito.

Chi fosse interessato a scoprire perché sia io, sia Francesco siamo stati folgorati dalle doti di un videomaker fuori dal comune, puó cliccare qui. Siamo rimasti anche questa volta nei tre minuti e non abbiamo litigato. Castellucci ha messo tutti d’accordo e di buon umore.

I giornalisti evoluti si ritrovano a Galway

Galway – I giornalisti più evoluti si sono dati appuntamento in Irlanda per discutere del futuro della professione e approfondire le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, soprattutto quelle utilizzabili in mobilità. Tra i circa seicento colleghi che hanno affollato le sale del Radisson  hotel per la tre giorni di conferenze organizzata da RTE, la televisione pubblica irlandese, gli italiani si  contano sulle dita di una mano e avanza  pure il mignolo. Nessun rappresentante della  Rai, di Mediaset e La7, soltanto due freelance (io e Francesco Facchini, capostipite del movimento MoJo in Italia e due rappresentanti di un’agenzia stampa). Gli spagnoli, per dire, sono una ventina, compresi esponenti del mondo universitario e della televisione pubblica.

Ci sono tedeschi, svedesi, inglesi, colombiani, arabi, indiani e australiani, tutti con esperienze significative da raccontare e condividere. Manchiamo soltanto noi. Un segnale che può essere interpretato in vari modi. Probabilmente anche di rassegnazione, incapacità di reagire, sicuramente di scarsa abitudine alla condivisione e di cecità. Come dice un simpatico collega spagnolo, siamo tutti preoccupati sulla nostra barchetta analogica, aspettando lo tsunami che ci travolgerà e non ci accorgiamo  che potremmo tranquillamente surfare sull’onda grazie alle nuove tecnologie.

Probabilmente ha ragione Michael Rosenblum, padre del mobile journalism statunitense, che ha aperto i lavori rispondendo seccamente alla prima domanda della giornata: “il giornalismo è morto? Sì, si è suicidato!”

mojo conference

Nella seconda parte della giornata l’attenzione si  è concentrata sui video immersivi, a 360 gradi, che iniziano a essere alla portata di molti. Il problema, come sempre, è capire come monetizzare il lavoro. La chiave di volta, anche secondo gli esperti sul palco, è rappresentata dai format, dall’idea alla base di progetti, per certi versi sempre più complessi, ma con opportunità impensabili fino a pochi anni fa, perfino per il singolo freelance. L’individualismo italiota potrebbe uscirne addirittura rafforzato.

Questo il link per la seconda parte dell’intervista

Un’idea, un concetto, un’idea…

“Un’idea, un concetto, un’idea, finché resta un’idea è soltanto un’astrazione” cantava Giorgio Gaber. L’indimenticabile cantautore milanese si augurava di poter mangiare un’idea per riuscire a fare la sua rivoluzione. Non ci proviamo neppure, anche perché l’idea di portare in Tv un programma che parli di cibo procura, al solo pensiero, un senso di nausea. Non che con i talk show o i talent vada meglio…

Avrete già capito che qui parleremo di televisione, anzi del suo futuro, qualsiasi esso sia. Non ci interessa sapere se la guarderemo su mega schermi o sul telefonino, se sarà diffusa via cavo, etere, satellite o attraverso il web. Cercheremo di concentrarci sui contenuti. Non faremo, però, critica televisiva. Parleremo pochissimo, forse per niente, dei programmi già in onda, perché non vogliamo realizzare la brutta o bella copia di Tv Talk, il programma del sabato pomeriggio di Raitre.

Parlo al plurale perché sono un inguaribile ottimista e mi auguro di trovare, strada facendo, la collaborazione di chiunque voglia condividere esperienze e progetti.

prove tecniche di trasmissioneProve tecniche di trasmissione, infatti,  vuole essere uno spazio per sperimentare. Idee, concept e format per il web e la tv, partendo dal mobile journalism e dalle nuove tecnologie che stanno radicalmente rivoluzionando il mondo della comunicazione. Gli aspetti tecnologici, però, rappresentano soltanto una parte dell’evoluzione in corso. Alla televisione del futuro occorrono soprattutto nuovi autori, in grado di avanzare proposte innovative nei linguaggi e nei contenuti.

Cercheremo di dare il nostro contributo in questo senso. Per quanto possibile senza astrazioni, con esempi concreti. Magari in forma grezza, economica. Probabilmente senza un denominatore comune, spaziando tra argomenti e generi differenti, perché ripetersi è monotono, mortificante e, se non ti chiami Vespa, Fazio o Marzullo, neppure economicamente vantaggioso.

L’idea è quella di realizzare una sorta di contenitore per numeri zero, offrendo spunti a chi la televisione la fa davvero.

Il vantaggio rispetto al passato ruota attorno a due parole chiave: contaminazione e indipendenza. Proporre nuove idee, oggi, dovrebbe essere più facile anche per chi non fa parte di un network editoriale e non ha agganci con l’establishment. La tv, il mondo dell’informazione e della comunicazione guardano con sempre maggiore interesse alle nuove tendenze che nascono, quasi tutte, sul web. Magari si accorgono anche di noi…

Andrea Fontana
giornalista indipendente